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Il “cibo a Km 0” non risolve i gravi problemi dell’agricoltura italiana

Il “cibo a Km 0” non risolve i gravi problemi dell’agricoltura italiana

By Redazione

Il presidente della Cia Giuseppe Politi: si rischia di innescare un processo protezionistico che può avere risvolti negativi anche per le produzioni “made in Italy”. La vendita diretta da
parte degli agricoltori è importante, ma non rappresenta la soluzione dei tanti “mali” che affliggono il settore. E’ uno dei tanti segmenti per incrementare il reddito degli imprenditori.
Ma per il nostro mondo agricolo ci vuole ben altro.

“Invece di pensare a disegni legge sul ‘cibo a km 0′ sarebbe quanto meno opportuno predisporre da subito interventi che permettano alle imprese di abbattere i pesanti costi produttivi,
contributivi e burocratici, di risolvere il problema del crollo dei prezzi praticati sui campi e di ridare vigore ai redditi agricoli che nel nostro Paese hanno subito nello scorso anno una vera
e propria caduta verticale. Il ‘km 0′ non dà le risposte che gli agricoltori italiani attendono. Oltretutto, si va ad innescare un processo protezionistico che può avere
risvolti negativi anche per le produzioni ‘made in Italy’. Ecco perchè insisto sull’urgenza di altre misure che ridiano certezze all’intero settore primario”. Così il
presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori Giuseppe Politi commenta le notizie secondo le quali il governo – come annunciato dal ministro delle Politiche agricole, alimentari e
forestali Luca Zaia – si appresterebbe a varare, nel Consiglio dei ministri del 22 gennaio, un apposito ddl sul “cibo a km 0”.

“È illusorio pensare – aggiunge Politi – che la filiera corta, nelle sue varie declinazioni, ‘farmer’s market’ e vendita a ‘Km 0′, certamente ottime e lodevoli iniziative, sia la
soluzione del problema del rapporto agricoltura-mercato. Non mi convince la giustificazione che essi sono parte di un’offerta diversificata. Quel 60 per cento ed oltre di prodotto agricolo che
passa per l’industria alimentare lo lasciamo, quindi, al libero arbitrio delle forze di mercato? E quel 16 per cento di marchi commerciali gestito dalla grande distribuzione? Ecco, vorrei che da
parte del legislatore fosse dedicata molta più attenzione al funzionamento delle filiere”.         
           
“Si afferma che – rileva il presidente della Cia – ogni prodotto percorre in media 2.500 chilometri per raggiungere la tavola del consumatore. Davanti a ciò mi vengono da fare tre
considerazioni. La prima, che può apparire banale, è che se un vino della California percorre 6.500 km per venire in Italia, lo stesso fa un vino italiano per giungere negli Usa. La
seconda osservazione è che, mentre da noi si sostiene la filiera tutta italiana, i grandi paesi produttori (vecchi, Francia, e nuovi, Australia) di vino, per esempio, stanno occupando i
ricchi e promettenti nuovi mercati asiatici (Cina in particolare). La terza considerazione è che, personalmente, ritengo pericoloso accodarsi a queste tesi protezionistiche della
‘distanza del cibo’, poiché le questioni climatiche sono all’attenzione dei governi e poiché, per esempio, emerge che circa il 30 per cento del traffico stradale è
dovuto al trasporto dei beni alimentari, temo che prima o poi sarà posta in discussione la proposta di tassare in modo differenziato anche i prodotti alimentari sulla base del loro effetto
serra, cioè della distanza che percorrono per raggiungere il consumatore. Ci sono, infatti, proposte di fissare aliquote Iva fino al 40 per cento per fasce di distanza percorsa.
Poiché siamo in un sistema alimentare vocato all’esportazione di prodotti ad elevato valore unitario, mi domando se tutto ciò ci conviene”.

“La vendita diretta da parte degli agricoltori – rimarca Politi – è un’esperienza che va sostenuta e sviluppata. Rappresenta, però, uno dei tanti segmenti per integrare il reddito
delle piccole e medie aziende, specialmente quelle che si trovano in zone montane, collinari e periurbane. Come Cia, d’altra parte, abbiamo promosso il progetto ‘La spesa in campagna’
proprio per dare agli agricoltori uno strumento in più. Questo, tuttavia, non costituisce la panacea dei tanti mali del nostro mondo rurale che ha bisogno – ripeto – di interventi e
politiche efficaci e di ben più ampio respiro”.

“Noi siamo convinti che – sottolinea il presidente della Cia – la via maestra per migliorare le condizioni di reddito degli agricoltori, valorizzare la produzione agricola e rendere più
efficiente il mercato sia l’interprofessione: organizzazioni economiche e relazioni interprofessionali. Attraverso questa strada vogliamo, come ha affermato anche il documento conclusivo del
‘G8 agricolo’, migliorare l’efficienza delle filiere agroalimentari”.

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