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Dopo il Grufolino, il Manzetto di Benito Mantovani – Convegno CARNE BOVINA: salute e ambiente (Video)

Dopo il Grufolino, il Manzetto di Benito Mantovani – Convegno CARNE BOVINA: salute e ambiente (Video)

By Giuseppe

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Il Manzetto di Benito Mantovani – Convegno CARNE BOVINA: salute e ambiente

 

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CARNE BOVINA: salute e ambiente Mercoledì 19 marzo 2014 ore 15.30 Veneto Agricoltura,
Corte Benedettina – Via Roma 34 – Legnaro (PD)

Presentazione dei risultati ottenuti con la sperimentazione commissionata dalla Camera di Commercio di Padova sull’incidenza che ha l’alimentazione sulla qualità oggettiva e salutistica delle carni bovine di vitellone

Argomento:

La ricerca, la sperimentazione e l’innovazione nel settore zootecnico

La Ferrari non vince più. Ma, sicuramente, il motivo non è l’invecchiamento della vettura, e nemmeno perché non vi è stata una ricerca tecnologica per rinnovarla.

La verità è che le altre case automobilistiche sono in possesso di una tecnologia più innovativa di quella della Ferrari, dovuta ad una ricerca più avanzata .

Per lo stesso motivo, la FIAT ha perso quote di mercato, anche se le sue vetture, a parità di modelli, costano meno. Un esempio, questo, di come il prezzo di un bene, non sempre viene premiato dal mercato.

Perché, questi esempi? Perché, purtroppo, anche per il settore agricolo, e quello delle produzioni animali in particolare, nell’ultimo ventennio, poco o nulla è stato investito nella ricerca e nella sperimentazione. Purtroppo, anche in questo settore, il modello FIAT ha fatto scuola.

Infatti, a vestire i panni della ricerca e dell’innovazione, specialmente nel settore zootecnico, è stata la banale certificazione di processo, rilasciata da enti privati patrocinati dalle istituzioni, con la quale si è voluto garantire e magnificare la qualità delle produzioni, in virtù del benessere degli animali. Un aspetto, peraltro, scontato, in quanto previsto per legge.

In sostanza, si è data voce ad una qualità, non quella con caratteristiche nutrizionali e salutistiche oggettive, ma esclusivamente cartacea, anche se gridata e promozionata dalle stesse istituzioni. Ed ecco il motivo per il quale, questo “tipo di qualità”, che non è mai riuscita a fidelizzare il consumatore, ha penalizzato la nostra zootecnia, costretta a subire la concorrenza delle produzioni estere, per i loro prezzi più bassi.

Purtroppo, della cultura della qualità igienico – sanitaria oggettiva e rispettosa della salute del consumatore, che per secoli ha guidato il contadino nelle sue scelte e modalità produttive, è rimasto solamente un nostalgico ricordo, che alcuni consumatori ingenui tentano di riesumare.

Vero sia che sono molte le famiglie che si rivolgono direttamente ai produttori agricoli, non tanto per risparmiare, rispetto ai canali di distribuzione tradizionali, ma perché convinti della maggiore freschezza, genuinità e sicurezza sanitaria dei prodotti acquistati direttamente dal contadino. Una convinzione quasi collettiva che, se per un verso ha favorito lo sviluppo del biologico, agevolato la nascita dei mercatini agricoli e la vendita dei prodotti a Km 0, non ha, però, assolutamente risolto il problema della sicurezza e della qualità oggettiva delle produzioni.

Quest’aspetto dovrebbe far riflettere tutti, dico tutti gli operatori del settore agricolo, perchè dimostra che, soprattutto nel campo alimentare, la concorrenza può essere combattuta, non con i blocchi delle frontiere, ma con la sicurezza sanitaria e con la qualità oggettiva dei prodotti.

È sbagliato chiamare in causa la crisi economica e i bassi prezzi di mercato, per giustificare la mancanza di volontà o l’incapacità a migliorare le qualità organolettiche e nutrizionali delle produzioni.

Per quanto riguarda il settore zootecnico, la maggioranza degli allevatori sarebbe disposta ed interessata a produrre alimenti con caratteristiche qualitative oggettive, ma non avendo il dovuto riscontro economico, è costretta a desistere dal farlo.

Occorre, nell’interesse della nostra agricoltura e di tutta la collettività, che la Regione Veneto, una volta per tutte, si decida a sostenere tutte le iniziative di ricerca e di sperimentazione, finalizzate alla concretizzazione di un sistema produttivo ecocompatibile nel quale, l’aspetto igienico – sanitario e nutrizionale delle produzioni, sia in sintonia con il Reg.to CE 1169/11.

La qualità oggettiva va dimostrata con analisi di laboratorio. Essa non può essere quella gridata, e nemmeno quella attestata da delle certificazioni private dell’ovvio, attribuendo alle stesse la capacità di trasformare un prodotto normale, in un prodotto di pregio.

Purtroppo, dispiace dirlo, ma è ciò che si è cercato di fare con i disciplinari del vitellone e del vitello ai cereali, approvati dalla Regione Veneto, in base alla Legge 12/2001.

Molto probabilmente, secondo gli estensori di questi disciplinari, il consumatore, prima di acquistare una bistecca, invece di essere rassicurato da un’etichetta nutrizionale, vuole essere informato esclusivamente sul modello di allevamento a cui è stato sottoposto l’animale. No! Non è così! E la crisi che sta vivendo il settore ne è la conferma. Il consumatore vuol sapere quali sono le caratteristiche nutrizionali della carne che mangia, perché il colore e la grassatura sono visibili, e il gusto e la tenerezza li scopre quando la consuma.

Pertanto, nello specifico, l’identificazione della carne, attraverso un marchio che ne attesti, non tanto la nazionalità e/o la regionalità ( made in Italy o made in Veneto), ma la standardizzazione delle caratteristiche nutrizionali ed organolettiche della stessa, è diventata una necessità impellente.

Ed ecco l’importanza del Reg.to CE 1169/2011, il quale, prevedendo un’etichetta nutrizionale per tutte le produzioni agroalimentari, consentirà la valorizzazione delle produzioni con delle peculiarità oggettive.

Ovviamente, per raggiungere questi obiettivi, occorre, dov’è possibile, codificare dei tipi di alimentazione da somministrare alle diverse specie, razze e sesso degli animali, per riuscire a produrre degli alimenti con caratteristiche standardizzate, senza snaturare le loro tipicità.

Un criterio questo che non avevo compreso, quando, ai primi anni sessanta iniziai la mia attività di nutrizionista zootecnico. Infatti, la mia attenzione fu sempre riposta alla riduzione dei costi dell’alimentazione e, contemporaneamente, mantenere inalterate, se non aumentare le performance degli animali.

Erano gli anni in cui, ad esempio, l’industrializzazione degli allevamenti dei bovini da carne aveva dato l’avvio all’uso e, purtroppo, all’abuso dei fattori di crescita e dei farmaci sugli animali che, per lo meno i primi, da anni, sono banditi per legge.

All’epoca, una nota industria mangimistica proponeva il baby beef, un bovino BN maschio di 9/10 mesi, alimentato con un mangime particolare e, abusivamente trattato con gli anabolizzanti.

La carne di questo bovino era pessima, tanto è vero che dopo poco tempo non se ne più sentito parlare.

Mentre ho sempre condannato l’uso degli anabolizzanti sugli animali, tanto da essere inviso da coloro che ne facevano uso, ho sempre cercato di approfondire le tematiche riguardanti la riduzione dei costi dell’alimentazione, con ottimi risultati per le performance degli animali, anche se la base delle razioni era costituita da sottoprodotti (latte per vitelli a base di siero e proteine idrolizzate di pesce, mele dei conferimenti AIMA, polpe soppressate, melasso, cpb, paglia idrolizzata, persino deiezioni di conigli, ecc). E la carne di quegli animali? Assolutamente di scarsa qualità. Non solo, ma erano necessari molti interventi terapeutici sugli animali, per far fronte alle problematiche sanitarie a cui andavano incontro ( malattie infettive, parassitarie, metaboliche e carenziali).

Di fronte a queste problematiche ( produzioni qualitativamente pessime e aumento delle patologie d’allevamento), mi resi conto che i minori costi dell’alimentazione non compensavano più di tanto i costi per l’uso massiccio di me- dicinali, e per l’elevata mortalità di animali a cui si andava incontro.

Ma, soprattutto, ciò che mi fece cambiare idea sul modello di allevamento che stavo promozionando, fu il convincimento che l’essenza della qualità delle produzioni non è una cosa astratta, ma è il risultato di un processo produttivo rispettoso del benessere degli animali e dell’ambiente e, quindi della salute dei cittadini.

In sostanza, ispirandomi alla legge della conservazione della massa, che prende origine dal cosiddetto postulato fondamentale di Lavoisier, che è il seguente: « Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma », mi interrogai per cercare di capire quali fossero gli effetti collaterali provocati dall’uso incontrollato dei farmaci nel settore zootecnico.

Ebbene, l’unica risposta che potei dare a me stesso, fu quella che l’uso massiccio e continuo di farmaci negli allevamenti avrebbe portato ad un inquinamento ambientale degli stessi, e all’insensibilità dei patogeni al loro effetto medicamentoso, con conseguenze nefaste per la nostra salute. Una previsione, purtroppo, che in parte si è concretizzata. Sono recenti le notizie di batteri insensibili ai farmaci. Ciò, viceversa, a cui non si è ancora data la dovuta importanza, sono le conseguenze a cui si va incontro con lo spargimento, sui terreni coltivabili, delle deiezioni degli animali trattati, contenenti i residui dei farmaci utilizzati nell’allevamento. È ovvio che, o attraverso qualche coltivazione, o più semplicemente, attraverso le falde acquifere, quei residui arriveranno, prima o poi, sulle nostre tavole, e questa certezza, non può sollevare nessuno dalle proprie responsabilità.

Ed allora, per quanto riguarda la zootecnia da carne, perché non allevare un bovino con il sistema baby beef con criteri ecocompatibili? Cioè, allevare un bovino da carne alimentato con una razione codificata, composta da fieno e cereali, in modo da evitare la monocoltura; migliorare la sicurezza e la qualità nutrizionale della carne; ridurre se non eliminare l’utilizzo dei farmaci, come ha potuto dimostrare la sperimentazione effettuata con il Manzetto.

Ovviamente, per questo modello produttivo possono essere prese in considerazione anche altre razze, basta adattare l’alimentazione alle esigenze fisiologiche delle stesse.

Il Manzetto è un vitellone di razza Limousine, identificato, appunto, con il nome Manzetto per distinguerlo da altri animali simili, alimentato con un mangime particolare a base di cereali, integrato con fieno e paglia, macellato all’età di 15/16 mesi ad un peso vivo di circa 600 chilogrammi.

La scheda di allevamento dei 50 Limousine della sperimentazione (Manzetto), alimentati a secco, a confronto con altri 50 Limousine, alimentati con l’insilato di mais, può essere così riassunta:

All’arrivo, entrambi i gruppi sono stati sottoposti a profilassi vaccinale contro virus e vermi. Mentre per il gruppo a confronto è stato necessario intervenire con dei farmaci ( un soggetto infortunato e altri tre affetti da zoppia), per il gruppo Manzetto, non vi è stata alcuna necessità di ricorrere ai farmaci. Ed allora, perché non continuare su questa strada. Questa è la domanda che rivolgo in modo accorato alla Regione Veneto, perché intervenga e faccia proprio il modello produttivo “Manzetto”!

Indicazioni

n. capi

Peso arr.

Peso mac.

Inc. tot

gg. perm

Incr. gior.

Costo ali.g.

Costo kg.inc.

Magg. c/kg.

B. Lim. confr.

50

368

610

242

247

0,98

2,40

2,45

B. Lim. Manz.

50

358

609

251

239

1,05

2,80

2,67

0,22

li, 19.03.2014

Benito Mantovani Nutrizionista Zootecnico

 

NOTA della redazione:
A breve su Newsfood.com saranno messi  on line i video degli interventi integrali dei relatori: Benito Mantovani, Giorgio Moretti Professore di Igiene e Medicina Preventiva, Sara Mantovani, Bruno Mori Eurocoltivatori Montagnana

Redazione Newsfood.com

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