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Riviera ligure, l’olio ligure ha bisogno di una DOP che lo tuteli

Riviera ligure, l’olio ligure ha bisogno di una DOP che lo tuteli

By Redazione

Con l’entrata in vigore del Regolamento CE 182/09 sui giornali e sulla riviste di eno-gastronomia il mondo dell’olio è stato finalmente oggetto di attenzione, con richiesta di pareri a
esponenti del mondo agricolo e istituzionale. Sia a livello nazionale che a livello ligure c’è stato un unanime consenso in merito a questo importante provvedimento comunitario.

“Provo tuttavia ad andare oltre alla lettura superficiale di questa disposizione – commenta il Presidente del Consorzio per la Tutela dell’Olio Extra Vergine di Oliva D.O.P. Riviera Ligure
Francesco Bruzzo – e a porre all’attenzione delle imprese, delle associazioni e degli amministratori liguri alcuni contributi per tentare di aprire un dibattito più ampio che spinga a
una riflessione circa l’ottimale strategia per lo sviluppo dell’olivicoltura ligure. Lo faccio prendendo spunto dall’articolo comparso domenica 5 luglio sull’edizione savonese de La Stampa dal
titolo “L’olio della Riviera non ha bisogno di DOP”. Nell’articolo si è fatto giustamente riferimento al fatto che solamente una parte limitata della produzione ligure di olio è a
denominazione di origine protetta RIVIERA LIGURE: parliamo infatti di 6.200 quintali nella campagna 2007/2008 e di una previsione per la campagna in corso di 4.000 – 4.500 quintali di olio DOP
Riviera Ligure. Si tratta forse del 12 – 15 % della produzione regionale di olio.

Ecco quattro considerazioni che faccio in merito alla Liguria. Solo questa piccola produzione di olio è tracciata, controllata e certificata da un organismo terzo (nel nostro caso si
tratta delle quattro CCIAA liguri) e garantita dal Ministero delle Politiche Agricole. Solo su questa piccola produzione di olio opererà la vigilanza, svolta dal consorzio di tutela con
l’analisi chimico-fisica ed organolettica dell’olio DOP RIVIERA LIGURE  sugli scaffali dei negozi per un raffronto tra queste analisi post con quelle fatte ante certificazione. Solo su
questa piccola produzione di olio il Consorzio opera in stretta collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole per una più corretta informazione al consumatore
(sviluppata  anche attraverso una più rigorosa etichettatura del prodotto) e con sforzi di comunicazione continuativi come,  ultimo in ordine di tempo, i moduli di formazione
rivolti agli allievi degli ultimi anni degli istituti alberghieri liguri e del basso Piemonte. Solo grazie a questa piccola produzione l’olivicoltore ligure ha qualche punto di riferimento
nella vendita delle olive in virtù del Patto di Filiera deliberato dal Consorzio che premia le pratiche virtuose dei frantoiani nell’acquisto di olive provenienti da oliveti iscritti
alla DOP Riviera Ligure (si tratta della prima iniziativa di questo tipo a livello nazionale)”.

Bisogna infatti precisare che l’attuale Piano di Sviluppo Rurale della Regione Liguria prevede l’azzeramento per tre anni dei costi di certificazione sostenuti dagli olivicoltori aderenti a un
regime di certificazione DOP e un sostegno alle attività informative per migliorare la comunicazione sulle caratteristiche dei prodotti liguri DOP, DOC e BIO. “Mi sembra di dunque strano
– rimarca quindi Bruzzo – che un dirigente di un’associazione ligure di agricoltori non condivida questo percorso e non si adoperi per supportarlo”.

Bruzzo infine fa una  considerazione in merito al dibattito che si svolge a livello nazionale. Varie volte nei mesi scorsi in Italia gli oli DOP delle regioni italiane sono stati chiamati
a fungere da testimonial per il 100% italiano. “Ma l’olio 100% italiano e l’olio di una delle 39 DOP italiane sono prodotti distinti! Nel primo caso siamo in presenza di una norma comunitaria
di commercializzazione riguardante una categoria di prodotto e un’origine, nell’altro siamo in un vero e proprio regime di qualità, in una certificazione che implica un impegno complesso
lungo tutto l’arco della filiera stabilito da disciplinare di produzione che abbina all’origine geografica una qualità certificata, autorizzata solo al termine di esami organolettici e
chimico-fisici. Un regime, quello della certificazione dei prodotti a denominazione di origine che viene verificata periodicamente da un organo di certificazione terzo”.

Il Presidente del Consorzio avanza un buon numero di perplessità: “Quando oggi parliamo di olio italiano non parliamo di qualità ma solo di origine. O sbaglio? Che conseguenza
può avere l’origine della materia prima sulla qualità del prodotto se non vi è una vero e proprio piano di controllo e certificazione supportato da parametri qualitativi?
Siamo sicuri che in Liguria per creare valore e generare sviluppo la strada giusta sia il 100% italiano? Quale è il plusvalore di garanzia al consumatore degli adempimenti previsti per
il 100 % italiano? Quale è il valore di questa comunicazione 100% italiano per un operatore ligure che deve invece differenziarsi dalle produzione degli altri olivicoltori italiani, non
fosse altro che per far comprendere il costo di gestione di un oliveto in Liguria? A mio avviso dovremo essere tutti uniti per informare i consumatori sulle caratteristiche dell’olio ligure,
motivarne il prezzo dando garanzie al consumatore e offrendogli elementi chiari per la sua scelta e non il solito motto utilizzato per l’extravergine  “è un olio uguale alla DOP
Riviera Ligure, ma non è certificato”.

Francesco Bruzzo conclude con un invito: “Apportiamo le migliorie al piano di controllo e certificazione dell’olio DOP Riviera Ligure limitandone gli aspetti burocratici e sviluppiamo una
strategia unitaria verso una produzione controllata e certificata a misura delle aziende liguri.

La strada più facile da percorre oggi sembra quella del prodotto italiano. Ma è una strada che per la Liguria non porta lontano e mi sembra molto una battaglia di retroguardia”.

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